Società (7)
Avevamo addosso i primi blue-jeans, che guai a strapparli, imbrattarli o strusciarli sui muri e sulle moto sporche d’olio e di miscela. Le nostre madri ci avrebbero costretto a toglierli di dosso immediatamente. Malgrado corressimo questo pericolo durante il ritorno serale a casa, eravamo abbarbicati su due carcasse d’auto portate lì dopo averle prelevate da Gino, lo sfasciacarrozze dietro piazza del Popolo. Avevamo aggiunto sopra, orpelli costruttivi di una barriera, così considerata invalicabile, banchi di scuola e vecchie, scalcagnate scrivanie sottratte dai polverosi magazzini proprio dietro la palestra Garibaldi.
Incuranti del vestiario, dunque, avevamo strappato, sporcato e “skinnato” i nostri nuovissimi jeans, benché non sapessimo ancora cosa avrebbe indicato questo termine che ai nostri giorni è sintomo di idiota “figaggine”.
Pensavamo. Ed eravamo critici, anche se i programmi scolastici ancora rigidamente legati al “ventennio”, tendevano ad inquadrarci e a chiuderci in un bozzolo di onniscienza criptata secondo regole che venivano dall’alto. Noi, dal nostro basso, eravamo quasi tutti resistenti al pensiero coatto che non subiva ancora, allora, i dettami socio-politici del “main-stream”, ma che aveva comunque una diffusione piatta e uniforme, già solo attraverso il “passaparola” ideologizzato, con netta divisione Sinistra/Destra, di quei nostri tempi sessantottini.
Pochi dei nostri insegnanti, coscienti di incorrere in sanzioni disciplinari di Presidi e Provveditori, sostenevano il nostro agire, ma pacatamente. Solo i più giovani tra di loro dialogavano apertamente con noi. Non certamente i docenti di Italiano e Latino, né di Storia, stranamente. Più inaspettatamente, i professori di Storia dell’Arte o di Biologia. Due mondi apparentemente distanti tra di loro, ma, invece, vicinissimi e contigui per l’elasticità mentale e l’appartenenza a un pensiero più libero, ricercatore di nuove verità che li comprendeva in un unicum.
Contestavamo tutto, tutti insieme, nemmeno tanto pacatamente, in assemblee per molti, forse troppi, occasioni di “sega scolastica”, cercando di creare, condividere e imporre nostre nuove e più moderne regole relazionali, interne ed esterne ai nostri Istituti. Perciò accoglievamo rappresentanti di altre, diverse scuole. Inviavamo induzioni e indirizzi di cambiamento con proposte dedicate e indirizzate al Ministero della Pubblica Istruzione di allora, una volta terminati gli incontri che, seppur autorizzati nelle Aule Magne, subivano il controllo di frotte di bidelli, spesso stanchi e dal volto assente.
Ebbene, tornando alle nostre barricate, rappresentavano il segnale di una ribellione “Eskimica” che mischiava, con un abbigliamento condiviso, politica, società e istruzione in un frappé nervoso e spesso schiumoso di rabbia. Avevamo un obiettivo. Volevamo essere visibili e decisori. Il paragone, oggi, non regge. E questa non è la solita retorica della diversità dei tempi e delle mentalità. Non regge perché non esiste. Oggi, una gioventù sottomessa e degradata al rango di cavia e che non prova minimamente a ribellarsi, è l’orizzonte prospettico dell’avvenire. Anzi, accetta pedissequamente “Vaccino e Gelato” a Torino, così come “Birra e Siringa” a Roma e Milano. Ovvie coercizioni psicologiche, ricattatorie di menti spente. La gestione del dissenso non ha patria in questa nostra epoca, mentre il consenso appare muto, cieco e indotto verso un’unica direzione: la libertà dalle chiusure per scendere in piazza a bere e “spritzare” di una giovinezza che è gioventù inutile e bruciata; una giovinezza priva di interessi diversi dal bere alcolici obnubilanti e dal mangiare kebab, o patatine e Crispy Mac Bacon. Non vediamo più bombe di pensiero innescate per sviluppare incendi di futuro migliore, ma solo petardi fumogeni, illusori e allusivi di un impegno inesistente. E così, nessuna protesta versus, nessuna presa di posizione pro-attiva. Solo attesa; attesa di un ordine che giunga, salvifico, dall’alto; da un Governo scaltro e furbo, altro che di incompetenti. Un Governo sicuramente adeguato ai tempi per capacità di manipolare il pensiero innocente e passivo dei nostri giovani e figli, già pronti a inocularsi, registrarsi ed esibire un passaporto, dirigendosi verso bar, pizzerie e discoteche, senza alcun altro pensiero che non sia il divertimento virtuale e imposto da un potere che non sono ancora capaci di vedere, per ora. Pur guardando attentamente, solo alcuni di loro si sforzano di immergersi nell’informazione libera, ma pochi, troppo pochi. Le “Sardine” hanno lasciato passo e spazio alle prossime intenzioni politiche e di voto che le vedranno far parte di un Noi allargato e sinistro; e gli stupidi “Tonni” che volevano cogliere le cinque stelle, si sganasciano dal ridere, avendo perfettamente compreso quanto è facile imbrigliare e imbrogliare il popolo, attraverso i magheggi della sporca e comica politica.
Forse solo noi, che ci siamo strappati i jeans su quelle antiche, lontane barricate di lotta del pensiero critico, riusciamo a vedere ciò che accade e ciò che presto sarà il futuro di questo nostro Paese, ormai stretto nella morsa, un tempo ammiccante, tra gli Stati Uniti, da un lato, e i prorompenti accordi, schiaccianti, tra Cina, Russia e nuovo Afghanistan, dall’altro. Abbiamo partecipato, colpevoli e inutili, a cinquant’anni di “Guerre di pace” e insulsi “Bombardamenti intelligenti” per voler portare, a ogni costo, la democrazia occidentale in Paesi mediorientali che desideravano soltanto perseguire le loro tradizioni sociali e politiche. La democrazia non si impone, quello si chiama Fascismo.
Mi sovviene, a tal proposito, un ricordo scolastico liceale: “Fanno il deserto e lo chiamano pace.”. E con Tacito conviene non andare oltre e… tacere.
Salvatore Giampino
Sento, e il mio sentire è esperienza spirituale e materiale, che stiamo tutti insieme attraversando un ponte. E su questo ponte, in fiamme, terremotati nel cuore e nell'anima, cerchiamo disperatamente di ritrovarci uniti per vincere insieme ciò che non conosciamo, ciò che nessuno conosce, o finge di non conoscere, al di là di ogni congettura di creazione occulta di stampo socio-politico-demografico.
Un vecchio detto recita: il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Così se la rivoluzione post-fordista dell’economia capitalistica si è riciclata attraverso l’economia della conoscenza, quella codificata degli sviluppi della cybernetica e della tecnologia digitale open source
«DUMANI 'U FAZZU» (Lettera ai ricercatori di identità)
Scritto da Sal GiampinoSe il tempo non esiste, così come lo spazio, perchè nella loro infinitezza indefinita non possono essere confinati dal pensiero umano, tutto ciò che il pensiero umano crea rimane sogno, dunque non esiste in quanto tangibilità di reale accadimento nel tempo e nello spazio limitati.
Il Culo al posto della testa (Che fine ha fatto Greta)
Scritto da Sal GiampinoLa questione non riguarda prettamente l'utilizzo alternativo, da parte di altre giovani, della propria intelligenza. Riguarda, piuttosto l'utilizzo dell'intelligenza loro, quella dei genitori della ragazzina.
In termini assoluti ed economici non si può essere in disaccordo. In termini relativi alla condizione umana e in termini spiritualisti, preferirei che la prostituzione non esistesse.
La cultura è espressione di vitalità e di vivenza, e non è un semplice, o macchinoso che sia, momento di astrazione del pensiero o di sublimazione delle intenzioni. Essa passa attraverso pensieri consapevoli che si tramutano in cose fatte e fatti: azioni, emozioni, oggetti che, quando sono già fatti, e cioè realizzati fisicamente, diventano i fatti reali della nostra esistenza quotidiana.